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Terapia extracorporea a onde d’urto per il trattamento del dolore

Le onde d’urto sono onde acustiche percettibili ad alta energia. In campo medico le onde d’urto sono utilizzate già dal 1980, tra l’altro anche per la disgregazione dei calcoli renali. Nella moderna terapia del dolore le onde d’urto a bassa energia vengono trasmesse alle zone doloranti del corpo umano, dove possono sprigionare la loro azione curativa.

I processi di guarigione del corpo possono essere accelerati, il metabolismo viene stimolato, aumenta l’irrorazione sanguigna, il tessuto danneggiato è in grado di rigenerarsi e di guarire. Esperienze pluriennali confermano che con questa terapia si possono eliminare in modo mirato specifiche alterazioni patologiche di tendini, legamenti, capsule articolari, muscoli e ossa: le cause dei vostri dolori.

La terapia extracorporea a onde d’urto – se praticata da terapisti qualificati- è un metodo indicata per trattare il dolore muscolo-scheletrico senza rischi o effetti collaterali di rilievo.

Quadri patologici e sintomi che possono essere trattati con la terapia a onde d’urto:

● Gomito del tennista o del golfista
● Tendinite rotulea “ginocchio del saltatore”
● Dolori alla tibia/ periostite tibiale
● Dolori al tendine d’Achille
● Dolori al tallone
● Dolori cronici a livello della nuca e della spalla
● Punti trigger
● Dolori alla schiena
● Dolori fasciali

In cosa consiste un trattamento a onde d’urto?

Il terapista, dopo un’anamnesi accurata, localizza la zona dolorante mediante palpazione e spiega al paziente il quadro patologico. Sulla zona da trattare viene applicato un gel cutaneo in modo da introdurre le onde d’urto nel corpo senza perdita di energia. Con la testina del manipolo si circoscrive quindi la zona dolorante con contemporaneo rilascio delle onde d’urto.

Con che frequenza è necessario ripetere il trattamento e quanto dura?

Il trattamento dura da 10 a 30 minuti, in base al quadro patologico. In media sono necessarie da 3 a 6 sedute a intervallo settimanale.

Quanto è efficace il trattamento?

Molti pazienti affermano già dopo 1 o 2 sedute di non avere più dolori o di avvertire una notevole riduzione del dolore. La riconquistata libertà di movimento e/o l’assenza di dolore restituiscono ai pazienti una
qualità di vita decisamente migliore.

 

Per saperne di più sulla terapia extracorporea a onde d’urto visitate il sito www.eswt.info

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COS’È L’AGOPUNTURA?

L’Agopuntura è una tecnica terapeutica millenaria, base fondamentale della Medicina Tradizionale Cinese. Utilizza l’infissione di sottili aghi in varie parti del corpo umano che stimolano il sistema nervoso periferico e centrale determinando una regolazione sulle varie funzioni somatiche, viscerali e psico-emotive.

L’infissione degli aghi sui punti di Agopuntura stimola il cervello a produrre determinate sostanze che hanno molteplici effetti sul corpo senza l’utilizzo dei farmaci.

Ciascun punto di Agopuntura ha un nome e appartiene ad un “Canale” detto “Meridiano”.

I punti conosciuti e studiati sono oltre 500.

Foto di Katherine Hanlon su Unsplash

QUALI SONO GLI EFFETTI TERAPEUTICI?

L’effetto principale è quello antidolorifico, efficace su tutte le patologie dolorose, sia ortopediche come lombalgie, dolori artrosici o tendinei, impiegando anche l’effetto rilassante sulla muscolatura.

Indicata per i dolori neurologici, soprattutto per tutti i tipi di Cefalea.

Viene inoltre utilizzata nei dolori mestruali (dismenorrea) con grande efficacia.

L’Agopuntura, per la sua azione indiretta sul sistema nervoso, ha molte altre applicazioni:

– patologie ginecologiche come i disturbi del ciclo mestruale, della menopausa e della

fertilità

– disturbi di ansia e depressione

– disturbi gastro intestinali

– patologie broncopolmonari e allergie respiratorie

– effetto antinfiammatorio e di regolazione endocrina

 

L’applicazione specifica dell’Agopuntura, che rappresenta una vera e valida alternativa ai farmaci, è nei disturbi che si possono presentare in gravidanza; i più importanti sono:

– iperemesi o vomito gravidico

– lombalgia

– emicrania

– presentazione podalica del feto

È inoltre indicata per l’ipogalattia (scarsa produzione latte materno)

La d.ssa Schiapparelli è consulente del Centro Cefalee della Donna e del Servizio di Agopuntura del Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostetriche dell’UniTO è perfezionata in diagnosi e cura delle cefalee.

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COS’È LA CEFALEA??

È una patologia di natura benigna molto diffusa che colpisce le donne 3 volte più degli uomini ,è il termine scientifico utilizzato per indicare il mal di testa, cioè un dolore a qualsiasi parte del capo, incluso viso, interno del cranio e cuoio capelluto e che in alcuni casi colpisce anche la parte superiore del collo. Tale sintomatologia è provocata da una stimolazione di strutture intracraniche sensibili al dolore.

SUDDIVISIONE:

-cefalea primaria, non associata a lesioni strutturali.

-cefalee secondarie derivante da patologie, traumi e farmaci.

 

IMPATTO SULLA SOCIETÀ

Implica notevoli costi sia sociali che economici tra i quali: visite specialistiche, esami diagnostici e farmaci e non ultimi perdita di giornate lavorative, bassa produttività e impatto emotivo e sociale.

 

COME AFFRONTARLA?

Solo grazie a un approccio che coinvolga piu figure sanitarie è possibile ridurre la frequenza e l’intensità e la qualità degli attacchi della cefalea cronica.

COME MIGLIORARE I SINTOMI ?

-Con laiuto del fisioterapista attraverso la terapia manuale, la manipolazione della colonna vertebrale, il trattamento di tessuti molli specifici(muscoli, legamenti e fasce ed altre strutture non scheletriche), il trattamento dell’articolazione temporo-mandibolare (articolazione tra mandibola e cranio, che permette il movimento della masticazione)

-Con l’aiuto del nutrizionista attraverso l’instaurazione di un corretto stile di vita alimentare in grado di equilibrare la flora batterica intestinale (Microbiota), il quale comunica con il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario. Inoltre degli studi dimostrano come alcuni tipi di diete specifiche siano efficaci a ridurre parte dei sintomi.

-Con l’aiuto del medico agopunturista, pratica in grado di favorire alcune funzioni benefiche e di ridurre le tensioni muscolari stimolando punti specifici del corpo

 

Presso il nostro ambulatorio fisiomed di Sanremo è possibile effettuare una visita con uno specialista del centro cefalee che sarà in grado di strutturare il percorso migliore per affrontare tale problematica

 

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Cos’è il Crioultrasuono?

Il crioultrasuono è un apparecchiatura per fisioterapia che permette di  erogare contemporaneamente 2 diverse energie fisiche, una di tipo meccanico (gli ultrasuoni) e l’altra di tipo termico (freddo), tramite un unico erogatore.

L’utilizzo del freddo associato alla terapia ultrasonica ne permette di sfruttare al massimo la potenzialità terapeutica, poiché gli ultrasuoni sviluppano calore all’aumentare della potenza, l’associazione col freddo permette di utilizzare potenze maggiori con migliori risultati terapeutici senza incorrere in un eccessivo riscaldamento dei tessuti.

La presenza di due frequenze di erogazione diverse (1mhz e 3mhz) permette di trattare svariate, problematiche sia superficiali che più profonde, ciò lo reputa adatto all’impiego anche sia problematiche dermatologiche (cicatrici) che articolari.

A cosa serve il Crioultrasuono?

Il crioultrasuono viene utilizzato nel trattamento di svariate situazioni patologiche, trovando maggiore impiego nelle fasi acute e sub-acute delle più comuni problematiche osteoarticolari. Grazie all’azione vasocostrittrice del freddo e a quella antiinfiammatoria/antalgica dell’ultrasuonoterapia permette di abbreviare notevolmente i tempi di recupero. 

Quali sono le controindicazioni al trattamento con crioultrasuono?

  • Osteoporosi ad alto turnover
  • Presenza di frammenti articolari 
  • Vene varicose
  • Gravidanza
  • Emorragie
  • Presenza di pacemaker
  • Arteriopatie obliteranti
  • Flebiti o tromboflebiti

 

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L’osteopatia è una medicina non convenzionale riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità

Essa rientra all’interno della medicina manuale per cui il contatto manuale risulta fondamentale sia per la valutazione che per il trattamento della persona.

Nasce negli Stati Uniti d’America nel 1874, fondata dal dott. Andrew Taylor Still.

L’approccio osteopatico è sicuramente un approccio causale e non sintomatico, per cui si propone di andare a ricercare e trattare la causa della disfunzione.

L’approccio stesso è dunque olistico quindi il corpo umano viene visto nella sua completezza, con la sua intrinseca capacità all’auto-guarigione. Il trattamento dunque viene inteso come una corretta stimolazione del corpo, e nello specifico intende lavorare su tre grandi distretti, cercando di stimolare quella che è la corretta mobilità della componente muscolo-scheletrica, dei visceri ed infine del cranio.

La colonna vertebrale rappresenta uno dei centri nevralgici per il corretto funzionamento del corpo umano, in quanto una buona parte del nostro sistema nervoso vi passa attraverso o in modo adiacente. L’osteopatia dunque propone diverse tecniche volte al trattamento di questa struttura così tanto importante, come le tecniche manipolative (thrust), tecniche di mobilizzazione, tecniche di energia muscolare (MET).

Alla base del principio osteopatico vi è quella che viene definita come disfunzione somatica, la quale viene descritta nella decima edizione dell’International Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death (ICD-10) dell’OMS. Tramite il trattamento osteopatico si propone di cercare di eliminare la disfunzione somatica stessa, spesso responsabile della sintomatologia che il paziente riporta.

Le alterazioni che vengono trattate tramite l’osteopatia dunque non riguardano esclusivamente il sistema muscolo-scheletrico. Di seguito un esempio delle situazioni su cui è possibile ottenere un beneficio tramite il trattamento osteopatico.

  • muscolo-scheletrico (rachialgia come lombalgia, dorsalgia, cervicalgia)
  • neurovegetativo (stress, cefalee, emicranie)
  • digestivo (stipsi, ernia iatale con reflusso-gastro esofageo)
  • uro-genitale (dismenorrea, infezioni urinarie recidivanti)
  • otorino laringoiatra (riniti, sinusiti)
  • problematiche riguardanti l’apparato stomatognatico (bruxismo, alterazioni della classe dentale)
  • sfera pediatrica (coliche, plagiocefalia, mastite ricorrente nella neo-mamma)

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La rettilineizzazione del rachide cervicale è spesso evidenziata da una radiografia.

Come è composta la colonna vertebrale

Per capire la rettilineizzazione del rachide cervicale è bene capire come è fatta la colonna vertebrale e le sue curve. La colonna è composta da  33-34 vertebre. Queste vengono raggruppate in grandi segmenti in base alla zona nella quale si trovano.

Partendo dall’alto verso il basso abbiamo: rachide cervicale, rachide dorsale, rachide lombare ed infine da quello sacro-coccigeo.

Le curve si possono suddividere in due grandi categorie: primarie e secondarie. Le primarie sono conosciute come cifosi: la dorsale e sacro-coccigea.  Le secondarie, o di compenso  sono meglio conosciute come lordosi: cervicale e lombare.

 

Alterazione della Cifosi e della Lordosi

Il termine cifosi e lordosi non indica una patologia, descrive la morfologia della colonna vertebrale in una determinata zona. In base a ciò che è stato appena detto, tali termini non indicano assolutamente una patologia, ma al contrario fanno riferimento a ciò che rientra nella corretta fisiologia del corpo umano.

Tuttavia in alcune persone è possibile notare quella che è una variazione dalla normale fisiologia della colonna vertebrale. Tramite un’attenta valutazione clinica, eventualmente abbinata ad una lastra del rachide possono in alcuni casi essere individuate delle variazioni della colonna.

Solitamente tali alterazioni vengono evidenziate lateralmente o frontalmente rispetto al corpo umano. Quelle visibili frontalmente o posteriormente sono conosciute come scoliosi.

Le eventuali variazioni che interessano l’individuo lateralmente sono legate o ad un aumento o ad una riduzione delle curve e sono quelle descritte nell’immagine seguente.

La diminuizione della Lordosi cervicale ovvero la rettilineizzazione

La rettilineizzazione del rachide cervicale (o diminuzione della fisiologica lordosi cervicale), è una particolare condizione patologica (anche in assenza di dolore) in cui la normale curva cervicale chiamata lordosi, perde la sua funzione e tende a raddrizzarsi fino addirittura ad invertirsi.

Molto spesso tale condizione è conseguente ad un trauma come il colpo di frusta oppure ad un uso prolungato di posture lavorative.

Nonostante sia da considerarsi come un’alterazione, non sempre tale situazione è patologica.

Pertanto una discreta percentuale di persone che presentano ciò è asintomatica. Indubbiamente però è da considerare che tendenzialmente contribuisce alla manifestazione dei seguenti sintomi:
  • Dolore e rigidità cervicale
  • Sbandamenti e vertigini
  • Mal di testa ed Emicrania
  • Sensazione di pesantezza alla testa
  • Nausea
  • Disturbi della vista
  • Dolore all’articolazione temporo-mandibolare e bruxismo
Tra i trattamenti di solito consigliati rientra il trattamento fisioterapico ed osteopatico. Nello specifico tali trattamenti avranno lo scopo di restituire la corretta mobilità del rachide in toto, diminuire gli spasmi muscolari, conseguire una serie di esercizi per riattivare nel modo corretto determinati gruppi muscolari ed infine fornire al paziente una corretta educazione nella vita quotidiana e lavorativa.

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In cosa consiste

Le persone affette da nevralgia di Arnold presentano una sintomatologia dolorosa continua o intermittente. Tali sintomi  originano dalla regione occipitale (dunque nucale) ed eventualmente può irradiarsi alla parte anteriore del capo fino all’occhio. Solitamente la sintomatologia si presenta da un solo lato, anche se in alcuni casi può essere bilaterale.

Dove si trova il nervo di Arnold

Il nervo grande occipitale di Arnold origina dalla branca posteriore del secondo nervo cervicale (C2). Quindi nella parte alta della colonna cervicale. Questa struttura nervosa è puramente sensitiva; si occupa dell’innervazione della cute e del cuoio capelluto nella regione posteriore della testa detta occipitale.

Cosa fare in caso si presentassero i sintomi

Fondamentale è la corretta valutazione e diagnosi di tale problema, affinché vengano evitati trattamenti poco efficaci. Innanzitutto bisogna escludere eventuali problematiche organiche e malformazioni della cerniera cervico-occipitale. Quindi è caldamente consigliato di fare riferimento al giusto professionista.

Quali possono essere le cause della nevralgia di Arnold?

Altra cause di una eventuale alterazione del decorso del nervo di Arnold possono essere patologie artrosiche o degenerative del rachide cervicale, oppure situazioni infiammatorie contingenti. Vi possono essere anche eventuali problematiche di tipo funzionale, che frequentemente potrebbero esserci anche in assenza di alterazioni rilevabili con esami diagnostici strumentali. Tra questi: un’eccessiva contrazione della muscolatura del rachide cervicale, specie del
muscolo obliquo inferiore o dei fasci muscolari profondi del muscolo trapezio.

A chi devo rivolgermi per una corretta diagnosi?

Le principali figure mediche deputate alla diagnosi sono il neurologo, l’ortopedico e il fisiatra. Una volta individuata la problematica , in assenza di patologie organiche e con il consenso del medico di
riferimento, ci si può rivolgere alla figura del fisioterapista per effettuare il trattamento idoneo.

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Differenza tra ernia e protrotrusione

Quando parliamo di differenza tra ernia e protrusione stiamo affrontando fenomeni che interessano le stesse strutture anatomiche con risultati o meglio sintomi, ben diversi

Anatomia

Per poterli capire al meglio è bene illustrare a grandi linee l’anatomia vertebrale e dei dischi intervertebrali, che sono dei cuscinetti gelatinosi racchiusi all’interno di un anello fibroso e resistente. La resistenza di questo anello tende a ridursi col passare del tempo e a seconda delle sollecitazioni a cui è sottoposto.

Cosa succede quando l’anello si indebolisce?

Quando questo inizia ad indebolirsi alcune delle sue fibrille possono iniziare a cedere dando modo al nucleo di iniziare a spingere verso l’esterno: ci troviamo in questo caso di fronte ad una protrusione.

Sintomi della protrusione

La differenza tra la ernia e protrusione è che quest’ultima produce dei sintomi più lievi e maggiormente a livello della colonna vertebrale, perchè nel momento in cui viene a formarsi, è proprio la rottura delle fibrille che produce infiammazione ed edema e quindi gonfiore a livello locale. Questa condizione oltre a produrre i sintomi del comune colpo della strega, cioè un blocco doloroso della schiena, può interessare anche il nervo che fuoriesce dalla colonna andandolo ad infiammare. In questo caso a seconda del territorio innervato potremo avere anche dei sintomi a distanza, o su un arto o a livello delle coste o del bacino. Ma questo dipende dalle vertebre interessate.

Sintomi dell’ernia

Nel caso dell’ernia del disco, l’anello fibroso si rompe completamente e il cuscinetto può migrare nelle o tra le strutture adiacenti provocando fenomeni infiammatori molto più forti nei casi più gravi, se lo spostamento va a ricadere proprio sul nervo con dei sintomi importanti come perdita della sensibilità e della possibilità di muovere uno o più segmenti corporei.

Similitudini

Purtroppo i sintomi possono essere sovrapponibili, quindi è difficile fare una diagnosi differenziale tra i due eventi senza l’integrazione della Risonanza Magnetica, che deve essere fatta solo in presenza di sintomi e indicazioni del medico, onde evitare di creare ansia e paure in pazienti senza sintomi, perché una volta che l’episodio si risolve positivamente i segni a livello diagnostico-strumentale permangono, 

Le differenze

In sostanza la differenza tra protrusione ed ernia del disco sta tra la rottura parziale dell’anello fibroso, come nel caso della protrusione e quella totale, come in quello dell’ernia e nell’intensità e gravità dei sintomi. Sono maggiori nell’ernia, unica condizione nella quale, al persistere dei sintomi e al presentarsi di una perdita di funzionalità la soluzione può essere anche di tipo chirurgico. A parte questi casi oramai rari, l’approccio riabilitativo è in grado di rispondere positivamente alla risoluzione di entrambi i problemi.

La diagnosi corretta

Quindi avere un referto in cui si evidenzia un ernia del disco o protrusione non vuol dire che il mal di schiena o una nevralgia dipenda da quello, la diagnosi corretta è possibile solo incrociando una buona anamnesi (raccolta delle informazioni da parte di un medico), i test clinici e gli esami strumentali.

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La Kinesi attiva e passiva

Cosa vuol dire Kinesi?

Kinesi, in greco, vuol dire movimento. Nel campo della riabilitazione e della fisioterapia intende il Movimento usato come medicina per curare il corpo, arti ed articolazioni. Un metodo dalla sapienza antica che offre recupero e riabilitazione da postumi di traumi, malattie e dolori acuti e cronici.

Qual’è la differenza tra Kinesi attiva e passiva?

La Kinesi attiva e passiva sono due modalità di lavoro utilizzate nella riabilitazione per muovere un’articolazione o un intero segmento corporeo (arto superiore o arto inferiore). La kinesi Passiva è la mobilizzazione di un segmento corporeo messa in pratica dal terapista senza l’aiuto del paziente, mentre quella attiva è la mobilizzazione di un segmento corporeo messa in atto dal paziente senza aiuto esterno

La Kinesi passiva

La Kinesi passiva è l’insieme di tutte le manovre che il fisioterapista mette in atto per muovere una data articolazione o un arto senza la partecipazione del paziente all’esecuzione del movimento. Al paziente viene quindi richiesto di abbandonare completamente la muscolatura per permettere al Fisioterapista di muovere il o i segmenti corporei in questioni senza che questi incontri resistenze “attive” ai movimenti.

Quando i sceglie la Kinesi passiva?

Solitamente è una pratica che viene utilizzata nelle prime fasi riabilitative in soggetti che hanno avuto un trauma o subito un intervento chirurgico che abbiano avuto come esito l’immobilizzazione e quindi una riduzione della funzionalità articolare.

Fase intermedia

Quando il processo di guarigione e le condizioni dei tessuti diventano più stabili e un po’ più “resistenti” si passa dalla Kinesi passiva alla Kinesi attiva e passiva associate che viene tecnicamente chiamata Kinesi attivo-assistita, questa fase intermedia serve per far adattare i tessuti ad un graduale ritorno alla normalità e predisporli all’esecuzione della Kinesi attiva.

Quando si può passare a quella attiva?

Quando le condizioni cliniche del paziente diventano stabili, quindi quando il dolore è oramai sotto controllo e la mobilità delle articolazioni è quasi del tutto completa allora si può passare alla Kinesi attiva.

La Kinesi attiva è l’insieme di tutte le manovre che il fisioterapista propone al paziente e che esso deve svolgere in autonomia per continuare a migliorare la funzionalità articolare e migliorare il tono trofismo muscolare. Durante questa attività riabilitativa viene chiesto al paziente di iniziare a riprodurre i movimenti che venivano proposti con la Kinesi passiva all’inizio e con quella attivo-assistita poi per poter arrivare all’esecuzione di movimenti via via più complessi che all’inizio riguarderanno una articolazione e via via interesseranno sempre più segmenti.

Progressione

Quando anche i movimenti attivi raggiungono la qualità adeguata si può passare a movimenti globali e simili ai gesti che quello specifico soggetto compie nelle attività quotidiane, che siano lavorative e/o sportive.

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