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La rettilineizzazione del rachide cervicale è spesso evidenziata da una radiografia.

Come è composta la colonna vertebrale

Per capire la rettilineizzazione del rachide cervicale è bene capire come è fatta la colonna vertebrale e le sue curve. La colonna è composta da  33-34 vertebre. Queste vengono raggruppate in grandi segmenti in base alla zona nella quale si trovano.

Partendo dall’alto verso il basso abbiamo: rachide cervicale, rachide dorsale, rachide lombare ed infine da quello sacro-coccigeo.

Le curve si possono suddividere in due grandi categorie: primarie e secondarie. Le primarie sono conosciute come cifosi: la dorsale e sacro-coccigea.  Le secondarie, o di compenso  sono meglio conosciute come lordosi: cervicale e lombare.

 

Alterazione della Cifosi e della Lordosi

Il termine cifosi e lordosi non indica una patologia, descrive la morfologia della colonna vertebrale in una determinata zona. In base a ciò che è stato appena detto, tali termini non indicano assolutamente una patologia, ma al contrario fanno riferimento a ciò che rientra nella corretta fisiologia del corpo umano.

Tuttavia in alcune persone è possibile notare quella che è una variazione dalla normale fisiologia della colonna vertebrale. Tramite un’attenta valutazione clinica, eventualmente abbinata ad una lastra del rachide possono in alcuni casi essere individuate delle variazioni della colonna.

Solitamente tali alterazioni vengono evidenziate lateralmente o frontalmente rispetto al corpo umano. Quelle visibili frontalmente o posteriormente sono conosciute come scoliosi.

Le eventuali variazioni che interessano l’individuo lateralmente sono legate o ad un aumento o ad una riduzione delle curve e sono quelle descritte nell’immagine seguente.

La diminuizione della Lordosi cervicale ovvero la rettilineizzazione

La rettilineizzazione del rachide cervicale (o diminuzione della fisiologica lordosi cervicale), è una particolare condizione patologica (anche in assenza di dolore) in cui la normale curva cervicale chiamata lordosi, perde la sua funzione e tende a raddrizzarsi fino addirittura ad invertirsi.

Molto spesso tale condizione è conseguente ad un trauma come il colpo di frusta oppure ad un uso prolungato di posture lavorative.

Nonostante sia da considerarsi come un’alterazione, non sempre tale situazione è patologica.

Pertanto una discreta percentuale di persone che presentano ciò è asintomatica. Indubbiamente però è da considerare che tendenzialmente contribuisce alla manifestazione dei seguenti sintomi:
  • Dolore e rigidità cervicale
  • Sbandamenti e vertigini
  • Mal di testa ed Emicrania
  • Sensazione di pesantezza alla testa
  • Nausea
  • Disturbi della vista
  • Dolore all’articolazione temporo-mandibolare e bruxismo
Tra i trattamenti di solito consigliati rientra il trattamento fisioterapico ed osteopatico. Nello specifico tali trattamenti avranno lo scopo di restituire la corretta mobilità del rachide in toto, diminuire gli spasmi muscolari, conseguire una serie di esercizi per riattivare nel modo corretto determinati gruppi muscolari ed infine fornire al paziente una corretta educazione nella vita quotidiana e lavorativa.

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Differenza tra ernia e protrotrusione

Quando parliamo di differenza tra ernia e protrusione stiamo affrontando fenomeni che interessano le stesse strutture anatomiche con risultati o meglio sintomi, ben diversi

Anatomia

Per poterli capire al meglio è bene illustrare a grandi linee l’anatomia vertebrale e dei dischi intervertebrali, che sono dei cuscinetti gelatinosi racchiusi all’interno di un anello fibroso e resistente. La resistenza di questo anello tende a ridursi col passare del tempo e a seconda delle sollecitazioni a cui è sottoposto.

Cosa succede quando l’anello si indebolisce?

Quando questo inizia ad indebolirsi alcune delle sue fibrille possono iniziare a cedere dando modo al nucleo di iniziare a spingere verso l’esterno: ci troviamo in questo caso di fronte ad una protrusione.

Sintomi della protrusione

La differenza tra la ernia e protrusione è che quest’ultima produce dei sintomi più lievi e maggiormente a livello della colonna vertebrale, perchè nel momento in cui viene a formarsi, è proprio la rottura delle fibrille che produce infiammazione ed edema e quindi gonfiore a livello locale. Questa condizione oltre a produrre i sintomi del comune colpo della strega, cioè un blocco doloroso della schiena, può interessare anche il nervo che fuoriesce dalla colonna andandolo ad infiammare. In questo caso a seconda del territorio innervato potremo avere anche dei sintomi a distanza, o su un arto o a livello delle coste o del bacino. Ma questo dipende dalle vertebre interessate.

Sintomi dell’ernia

Nel caso dell’ernia del disco, l’anello fibroso si rompe completamente e il cuscinetto può migrare nelle o tra le strutture adiacenti provocando fenomeni infiammatori molto più forti nei casi più gravi, se lo spostamento va a ricadere proprio sul nervo con dei sintomi importanti come perdita della sensibilità e della possibilità di muovere uno o più segmenti corporei.

Similitudini

Purtroppo i sintomi possono essere sovrapponibili, quindi è difficile fare una diagnosi differenziale tra i due eventi senza l’integrazione della Risonanza Magnetica, che deve essere fatta solo in presenza di sintomi e indicazioni del medico, onde evitare di creare ansia e paure in pazienti senza sintomi, perché una volta che l’episodio si risolve positivamente i segni a livello diagnostico-strumentale permangono, 

Le differenze

In sostanza la differenza tra protrusione ed ernia del disco sta tra la rottura parziale dell’anello fibroso, come nel caso della protrusione e quella totale, come in quello dell’ernia e nell’intensità e gravità dei sintomi. Sono maggiori nell’ernia, unica condizione nella quale, al persistere dei sintomi e al presentarsi di una perdita di funzionalità la soluzione può essere anche di tipo chirurgico. A parte questi casi oramai rari, l’approccio riabilitativo è in grado di rispondere positivamente alla risoluzione di entrambi i problemi.

La diagnosi corretta

Quindi avere un referto in cui si evidenzia un ernia del disco o protrusione non vuol dire che il mal di schiena o una nevralgia dipenda da quello, la diagnosi corretta è possibile solo incrociando una buona anamnesi (raccolta delle informazioni da parte di un medico), i test clinici e gli esami strumentali.

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La Kinesi attiva e passiva

Cosa vuol dire Kinesi?

Kinesi, in greco, vuol dire movimento. Nel campo della riabilitazione e della fisioterapia intende il Movimento usato come medicina per curare il corpo, arti ed articolazioni. Un metodo dalla sapienza antica che offre recupero e riabilitazione da postumi di traumi, malattie e dolori acuti e cronici.

Qual’è la differenza tra Kinesi attiva e passiva?

La Kinesi attiva e passiva sono due modalità di lavoro utilizzate nella riabilitazione per muovere un’articolazione o un intero segmento corporeo (arto superiore o arto inferiore). La kinesi Passiva è la mobilizzazione di un segmento corporeo messa in pratica dal terapista senza l’aiuto del paziente, mentre quella attiva è la mobilizzazione di un segmento corporeo messa in atto dal paziente senza aiuto esterno

La Kinesi passiva

La Kinesi passiva è l’insieme di tutte le manovre che il fisioterapista mette in atto per muovere una data articolazione o un arto senza la partecipazione del paziente all’esecuzione del movimento. Al paziente viene quindi richiesto di abbandonare completamente la muscolatura per permettere al Fisioterapista di muovere il o i segmenti corporei in questioni senza che questi incontri resistenze “attive” ai movimenti.

Quando i sceglie la Kinesi passiva?

Solitamente è una pratica che viene utilizzata nelle prime fasi riabilitative in soggetti che hanno avuto un trauma o subito un intervento chirurgico che abbiano avuto come esito l’immobilizzazione e quindi una riduzione della funzionalità articolare.

Fase intermedia

Quando il processo di guarigione e le condizioni dei tessuti diventano più stabili e un po’ più “resistenti” si passa dalla Kinesi passiva alla Kinesi attiva e passiva associate che viene tecnicamente chiamata Kinesi attivo-assistita, questa fase intermedia serve per far adattare i tessuti ad un graduale ritorno alla normalità e predisporli all’esecuzione della Kinesi attiva.

Quando si può passare a quella attiva?

Quando le condizioni cliniche del paziente diventano stabili, quindi quando il dolore è oramai sotto controllo e la mobilità delle articolazioni è quasi del tutto completa allora si può passare alla Kinesi attiva.

La Kinesi attiva è l’insieme di tutte le manovre che il fisioterapista propone al paziente e che esso deve svolgere in autonomia per continuare a migliorare la funzionalità articolare e migliorare il tono trofismo muscolare. Durante questa attività riabilitativa viene chiesto al paziente di iniziare a riprodurre i movimenti che venivano proposti con la Kinesi passiva all’inizio e con quella attivo-assistita poi per poter arrivare all’esecuzione di movimenti via via più complessi che all’inizio riguarderanno una articolazione e via via interesseranno sempre più segmenti.

Progressione

Quando anche i movimenti attivi raggiungono la qualità adeguata si può passare a movimenti globali e simili ai gesti che quello specifico soggetto compie nelle attività quotidiane, che siano lavorative e/o sportive.

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